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REMO BADOER

Remo Badoer

Ho passato una vita fra i libri sia per passione che per lavoro (ho lavorato più di 30 anni come bibliotecario) e da quando sono in pensione ogni tanto mi piace saltare dall'altra parte della barricata e travestirmi da scrittore. Negli anni '90 ho collaborato alla fanzine Pantagruele e – marginalmente - alla rivista Comics.  Leggi ancora...

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Giudizio Giuria

Il racconto "L'ombra" di Remo Badoer conferma l'attitudine dell'autore a dare forma agli incubi più profondi dell'anima e della mente. Il racconto è pervaso da un profondo senso di claustrofobia, dell'incapacità del protagonista di liberarsi dalle su più agghiaccianti paure per poi sorprendere il lettore con un finale inaspettato quanto efficace.

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Image by Florian Klauer

Premi Letterari

Menzione Speciale Mystery 
Concorso Storie Noir 2024

Finalista 

Scrivendo Ancora 2024

Finalista 

Scrivendo Ancora 2023

Primo Classificato Concorso Nazionale “Amore e dintorni” 2022

Primo Classificato Premio per le Arti Quia “Marta Redolfi” 2023
Primo Premio Assoluto Premio Letterario Nazionale Seven Live 2024

L'ombra

di Remo Badoer

Tutti i diritti riservati all'autore.

 

 

Mi ero addormentato sereno, con una leggera brezza che entrava dalla finestra aperta facendo quasi dimenticare il caldo di quei giorni d’estate. E quella notte fu la prima volta che incontrai l’Ombra.

Non ricordo cosa stessi sognando, so che a un certo punto mi ero ritrovato a camminare all’interno di un cunicolo con le pareti di colore perlaceo come quelle di una conchiglia, o di una chiocciola, e quest’impressione era resa ancor più viva dal fatto che il cunicolo non era lineare, ma si attorcigliava come in una spirale. Mentre procedevo, le pareti diventavano a poco a poco sempre più strette, finché non potei più andare avanti, nemmeno incurvandomi o mettendomi carponi.

Nel sogno, cercavo di girarmi per tornare indietro, ma non ci riuscivo: sentivo qualcosa, o forse qualcuno, che mi teneva fermo per le spalle e non mi permetteva di fare alcun movimento. Provavo a reagire per togliermi da quella presa, ma era tutto inutile, anzi a ogni mio sforzo, a ogni mio tentativo, mi sentivo diventare sempre più debole, come se il mio corpo non volesse obbedire al cervello. Rimasi in quella condizione per un po’, finché una parte di me, quella che quando dormiamo di solito rimane zitta e nascosta, ma vigile, mi disse che era solo un sogno, che potevo svegliarmi.

La coscienza di stare dormendo fu una specie di liberazione, aprii gli occhi e mi ritrovai nel mio letto. Un incubo, mi dissi, solo un incubo, come tanti altri, di sicuro non il peggiore. Così non ci feci caso e dopo un po’, tirandomi su il lenzuolo perché nel frattempo la brezza era diventata più fresca, ripresi a dormire.

Anche se il sogno mi aveva lasciato un ricordo vivido, non ci pensai più fino a quando, qualche giorno dopo, mi capitò un incubo simile. Era come se mi trovassi in uno spazio nero senza limiti, e io mi ci muovevo senza fatica, un po’ camminando, un po’ volando, con la sensazione alle volte di essere immerso in un mare, oppure di starmene nel cosmo stellare, non riuscivo a capire, ma neanche mi interessava, era una sensazione gradevole. Avevo visto una specie di tempio, o forse un castello, qualcosa del genere, e mi ero diretto verso quel luogo quando, ancora una volta, mi sentii bloccare le spalle e non potei più andare avanti. Avevo però riconosciuto quella stretta, era la stessa dell’incubo precedente, e stavolta provai a girarmi per vedere chi o cosa fosse quella forza che mi tratteneva, ma come l’altra volta non riuscivo a muovermi, ero come paralizzato, mi sentivo indebolito, tutte le forze mi avevano abbandonato, mi restava solo la coscienza di essere impotente e del tutto incapace di fare qualcosa. Sentivo che il respiro diventava più affannoso, come se la presa alle mie spalle si fosse allargata e mi stesse stringendo alla gola. Stavolta mi risvegliai di colpo e presi a respirare ansimando, a pieni polmoni, come se avessi rischiato di annegare e dovessi recuperare tutta l’aria perduta. Ero tutto sudato e sentivo che il cuore batteva più forte del dovuto, le mani quasi mi tremavano. Era stato proprio un brutto incubo, questo, e ci misi un bel po’ prima di prendere di nuovo sonno.

Una settimana dopo, ci fu il primo incontro diretto con quella che da allora presi a chiamare l’Ombra. Sognavo di camminare per una città sconosciuta assieme alla mia fidanzata, cercavamo non mi ricordo più che cosa, e poi, non so perché, abbiamo preso strade differenti, e io mi sono trovato a percorrere vie deserte, senza nessun’altra persona, nessuna auto, come se mi trovassi in una città vuota o abbandonata. Ebbi la percezione di essere seguito, e pensando che fosse Anna che mi aveva raggiunto, mi voltai ma mi trovai davanti una sorta di palla nera, grande la metà di me, che sembrava fatta di nebbia condensata, o forse era liquida, e che si agitava assumendo diverse forme.

Fui scosso da una ondata di terrore perché avevo riconosciuto la stessa entità degli altri incubi, e feci per darmi alla fuga ma quella cosa nera mi saltò addosso bloccando il mio tentativo. Mi venne da gridare ma non riuscivo a emettere alcun suono, e mi ritrovai tutto immerso in quella cosa, mi sembrava di muovermi all’interno di una gelatina che mi ricopriva tutto, che mi entrava nella bocca, nel naso, dovunque. Non vedevo più nulla, solo nero, anche se avevo la coscienza di tenere gli occhi spalancati. Piano piano, venni preso dalla debolezza che ormai conoscevo bene, dalla impossibilità di muovere un solo muscolo così che alla fine non potei fare altro che rimanere immobile dentro a quella melma nera che adesso aveva smesso di agitarsi. L’immagine che mi saltava alla mente era di uno di quegli insetti imprigionati nell’ambra, costretto all’immobilità in una prigione eterna, con la differenza che io avevo una coscienza e avrei vissuto con angoscia infinita quella eternità.

Non durò però a lungo, la massa nera aveva ripreso a muoversi e ora sentivo l’Ombra stringermi di nuovo al collo, per soffocarmi, credo, comunque per togliermi il respiro. La voce amica, quella della consapevolezza oltre il sonno, si fece viva di nuovo, a dirmi che non era realtà e che mi dovevo svegliare, e allora spalancai gli occhi e mi ritrovai perfettamente desto, tremante e ansante, coperto di sudore, ancora in affanno per la paura provata ma al tempo stesso godendo di una gioia innaturale per la normalità di poter respirare senza difficoltà.

Da quell’ultima volta, l’incubo divenne ricorrente, e ogni quattro, cinque giorni, nel sonno mi ritrovavo a essere vittima dell’Ombra: alle volte mi aggrediva direttamente, più spesso mi arrivava alle spalle e sempre mi bloccava, mi teneva fermo e io diventavo debole mentre questa tentava di soffocarmi, e ogni volta il risveglio era sempre più difficile, quasi mi controllasse anche il pensiero per trattenermi nel sogno, e quando alla fine riuscivo a riprendere coscienza, mi risvegliavo sempre più ansimante, con il batticuore e respirando a fatica, con la gola che quasi mi faceva dolore fisico per lo sforzo di portare il respiro al ritmo normale.

Ormai andavo a letto col terrore di trovarmi nell’incubo dell’Ombra, la mia mente non riusciva più a rilassarsi, avevo provato un sacco di pastiglie e intrugli ma senza risultato: quando, per necessità, chiudevo gli occhi e mi addormentavo, vivevo un sonno agitato e anche se poi l’Ombra non arrivava, bastava l’idea di poterla incontrare per farmi passare una notte d’inferno.

L’ultima volta che fui preda dell’Ombra mi pare di ricordare che ero andato a letto preoccupato perché il giorno dopo avevo una riunione importante e dovevo essere riposato e in forze. Avevo preso due compresse di Tavor, pregando non so neanche chi di concedermi un riposo anche breve, due o tre ore mi sarebbero bastate, ma senza incubi, anzi meglio senza nessun sogno del tutto, un riposo di totale incoscienza, come quello che immagino possa avvenire nella sedazione profonda.

Era stata una speranza vana. Il sogno arrivò, e presto divenne incubo. Stavo scendendo una scala ripida, con gradini di legno stretti, in penombra, e facevo molta attenzione per non cadere. A metà discesa, l’Ombra mi fermò prendendomi alle spalle nel modo che ben conoscevo, e con angoscia provai le solite sensazioni di perdere le forze, di non poter reagire. Stavolta però nemmeno provai a muovermi, sapevo bene che sarebbe stato inutile e allora scelsi di lasciarmi andare, di riconoscere la sconfitta e di accettare il mio destino, qualunque esso fosse e qualunque cosa comportasse. Anche quando cominciò la stretta alla gola, il soffocamento, non riuscii a evitare il rantolo ma era un suono di rassegnazione quello che usciva dalla mia bocca, non annaspavo, come un condannato attendevo sottomesso la conclusione ignota ma inevitabile che mi sarebbe toccata.

Fu allora che capitò qualcosa di diverso dal solito. Era come se l’Ombra, stupita della mia resa, avesse allentato la sua morsa e anche se continuavo a sentire la stretta alla gola, stavo riuscendo a muovere un braccio, una gamba, in qualche modo stavo riprendendo controllo del mio corpo e, alla fine, arrivò il grido.

Tante volte avevo provato a gridare durante i miei incubi, ma non mi era mai riuscito, neanche quando l’Ombra non mi serrava la gola e mi toglieva il respiro. Il grido fu la liberazione: balzai a sedere nel letto, del tutto sveglio, e grazie alla poca luce che filtrava dalla finestra semiaperta, riconobbi l’ambiente amico della camera da letto, i mobili, l’armadio, i miei abiti sulla sedia, tutto come doveva essere. In piena coscienza, gridai di nuovo, felice nell’ascoltare la mia voce. Ero di nuovo libero.

Come un bambino che deve andare a giocare, scesi dal letto e gridai ancora, e ancora, e ancora. Piangendo lacrime di gioia, mi diressi verso la porta per andare a bere un bicchiere d’acqua, stavo quasi per mettermi a ridere da solo, ma all’improvviso, mi sentii di nuovo bloccare. La sorpresa superava l’orrore: non era possibile! Cosa stava succedendo? L’Ombra mi aveva seguito nel mondo reale?  Oppure ero ancora nel sogno? No, non era un sogno, di questo ero certo, i particolari erano troppo nitidi, le sensazioni troppo precise, non mi trovavo in un sogno. E non riuscivo più neanche a gridare.

Mi misi a piangere quando sentii l’Ombra stringermi di nuovo alla gola per volermi soffocare, e fu con uno sforzo disperato che mi divincolai ancora una volta, ma subito, senza più energie, caddi in ginocchio sul pavimento della stanza, proprio davanti allo specchio dell’armadio dove, grazie al riflesso della poca luce, compresi cosa stava succedendo.

Non c’era nessuna Ombra dietro di me, ero io che stringevo forte il mio collo con tutte e due le mani, ero io che stavo uccidendo me stesso, e impotente, senza poter controllare in alcun modo quello che stavo facendo, rimasi a guardare la mia figura allo specchio, il viso che si deformava nell’agonia, con la lingua fuori dalla bocca, gonfia, mentre le mani finivano il lavoro che l’Ombra aveva iniziato.

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