top of page
COP VINCITORI EBOOK08.jpg
ROSSELLA GALIMBERTI.jpg

Rossella Galimberti

Nata a Milano, Rossella Galimberti vive con i suoi due figli a Roma, città nella quale lavora in qualità di Manager d’azienda.

Grande viaggiatrice e appassionata di lettura, scrittura e fotografia.

Attrice di teatro in una compagnia amatoriale a Roma dal 2019 al 2024. 

L’autrice ha recentemente ritrovato la sua passione per la Poesia e la scrittura

ATTESTATO INCUBI 2025 Rosssella Galimberti.jpg

Premi e riconoscimenti

L’autrice ha ottenuto diversi riconoscimenti nell’ambito di importanti Premi Letterari nazionali ed internazionali, tra i quali il Premio Letterario San Domenichino, il Premio Internazionale di Arte Letteraria “Il Canto di Dafne”, il Premio Letterario Internazionale Charles Dickens, il Premio Letterario Autori Italiani, oltre ai prestigiosi Concorsi Letterari “Scrivendo” e “Scrivendo Ancora” organizzati da Kubera Edizioni. 

Image by Florian Klauer

Giudizio Giuria

"…esiste anche ciò che non si vede"

​

L’opera si presenta come un classico della lettura gotica aggiornato ai nostri tempi. Autrice donna, protagonista donna, un’inquietante ombra e una dimora forse infestata… Ann Radcliffe ed Edith Wharton ne gioirebbero come, infatti, è accaduto in giuria. Una narrazione lineare e chiara che dissemina, lenta e inesorabile, indizi di una “presenza sovrannaturale”...

La grande ombra

di Rossella Galimberti

Tutti i diritti riservati all'autore.

 

 

Tutto iniziò un lunedì mattina di una settimana qualunque di inizio estate.

Fuori si vedevano già le prime luci dell’alba ma Lara era di nuovo caduta in un sonno profondo. La sua mente aveva già cancellato gli indecifrabili sogni che si erano avvicendati durante quella notte.

La suoneria di una sveglia la destò. Non era la solita musichetta della radiosveglia e il suono non sembrava provenire dal comodino accanto al letto.

Con gli occhi semichiusi, in uno stato tra sonno e veglia, Lara si mise a sedere sul letto e guardò la radiosveglia che segnava le ore 5:35.

“Ma che cavolo” pensò “manca ancora più di un’ora alle sette, perché diavolo sta suonando così presto?”.

Afferrò quindi la radiosveglia e la rigirò da tutte le parti alla ricerca del pulsante che avrebbe dovuto porre fine a quel tormento ma lo squillo non cessava. Resistendo alla tentazione di scaraventarla sul pavimento, decise quindi di alzarsi.

“Ne approfitto per fare la pipì” disse a voce alta.

Recandosi verso il bagno, realizzò che la fonte del segnale era esterna alla sua camera poiché lo poteva percepire in maniera più forte e nitida percorrendo il corridoio.

“Viene dalla cucina” ipotizzò. L’odiato trillo proveniva dal primo cassetto della credenza. Lo aprì.

Una vecchia sveglia inutilizzata da tanto tempo e senza batteria urlava con tutte le sue forze.

“Ma com’è possibile” rifletté Lara. Spense la sveglia e senza farci troppo caso, ritornò a letto e si riaddormentò.

Quella mattina arrivò in ufficio con leggero ritardo rispetto al suo solito orario. Solitamente percorreva la distanza casa-ufficio in bicicletta. Erano i primi anni ‘90 e le piste ciclabili a Milano si potevano contare sulla punta delle dita. Nonostante questo Lara preferiva sfidare il rischio di essere investita piuttosto che affrontare il traffico in automobile o l’affollamento della metropolitana alle ore di punta.

Raggiunto l’ingresso dello stabile della grande multinazionale, Lara si affrettò a estrarre dal portafoglio il tesserino per la rilevazione dell’entrata ma il dispositivo sembrava non riconoscerlo. Dopo vari tentativi, decise di segnalare l’episodio al collega dell’ufficio del personale.

“Si è smagnetizzato” disse il collega, “ne procuro uno nuovo per domani”.

Quando riuscì a sedersi alla sua scrivania, doveva avere un’aria alquanto stralunata perché Marisa, la sua compagna di stanza, le chiese: “Cosa ti è successo? Hai un aspetto orribile! Non ti senti bene?”

“Lascia stare, stamattina una maledetta vecchia sveglia senza batteria ha interrotto il mio sonno alle 5:35! E poi arrivo qui e scopro che il mio badge non funziona più!”.

“Una sveglia senza batteria non può squillare, sei sicura di stare bene?”.

“Sto benissimo, tranquilla”.

Marisa la fissò ancora non convinta per qualche secondo, dopo di che entrambe si misero al lavoro.

Al termine della giornata, Lara salutò Marisa e in sella alla sua bicicletta si diresse verso la sua abitazione, un miniappartamento al quarto piano senza ascensore in un palazzo di semi-periferia.

Durante il tragitto ebbe come l’impressione di sentirsi osservata e per un attimo riaffiorò alla sua mente il ricordo di un sogno della notte precedente. Non una scena o un’azione definita, ma piuttosto la percezione di un’impalpabile presenza accanto a lei.

Solo un attimo e il ricordo terminò ma durò abbastanza per imprimere nella sua memoria la strana sensazione che aveva provato.

Giunta a destinazione, parcheggiò la bicicletta nel sottoscala e iniziò a salire le scale.

Un insolito oggetto adagiato su un gradino attirò la sua attenzione. Si avvicinò, era un piccolo sottovaso capovolto. Incuriosita, lo sollevò. Un grande scarafaggio nero, finalmente libero, iniziò la sua fuga verso gli scalini sottostanti alla ricerca di un nascondiglio o un buco nel quale infilarsi.

Lara  lanciò  un  urlo  lacerante  e  salendo  i  gradini  due alla volta

raggiunse la porta del suo appartamento, l’aprì e la richiuse immediatamente alle sue spalle.

“Calmati, è solo uno scarafaggio” pensò Lara pur sapendo benissimo che i pensieri razionali a poco servono quando bisogna gestire fobie o paure incontrollabili. Non ci poteva fare niente, pur essendo considerata da tanti una temeraria per le avventure vissute durante i numerosi viaggi compiuti intorno al mondo e per gli sport estremi praticati, la vista di scarafaggi, scorpioni e simili aveva il potere di farle perdere completamente il controllo dei nervi. Un’inguaribile ossessione.

“Ma che razza di gente abita in questo palazzo… intrappolare uno scarafaggio vivo sulle scale, mah!”.

Andò subito in cucina, aveva bisogno di bere acqua fresca. La temperatura in città aveva già raggiunto picchi altissimi sopra la media della stagione estiva appena iniziata. Mentre apriva il frigorifero, sentì improvvisamente l’inconfondibile rumore dell’acqua che scorre, preceduto da un suono cupo e torbido. Si voltò verso il lavello e vide l’acqua fuoriuscire dal rubinetto con un potente getto.

“Ma che strano, eppure il rubinetto è chiuso. Speriamo non sia una perdita da riparare, con quello che costano gli idraulici!”.

Così come si era attivato, il getto d’acqua cessò all’istante e nello stesso momento Lara avvertì di nuovo la strana sensazione che aveva percepito durante il tragitto in bicicletta. La percezione di una presenza, questa volta alle sue spalle. Si girò di scatto e si accorse di avere freddo, una ventata di aria gelida aveva attraversato il locale.

Senza farsi troppe domande, si mise una felpa sulle spalle e decise di rilassarsi un po' rimirando e catalogando le diapositive che aveva scattato durante un recente viaggio in Turchia.

Scelse con cura gli scatti da consegnare al negozio di fotografia per la stampa su carta e quelli da ingrandire in formato poster.

Su ogni diapositiva a matita segnò il luogo e la data dello scatto e con ordine cronologico le sistemò negli appositi raccoglitori.

Così facendo arrivò l’ora di cena. Preparò una veloce pasta fredda, noncurante del calo della temperatura nell’appartamento che ormai aveva invaso tutti i locali.

Puntuale come un orologio, alle ventuno arrivò la telefonata di Marco.

“Ciao amore, come va? Qui a Roma si muore di caldo”.

“Ciao Marco, anche qui fa molto caldo, però stranamente la casa è fresca, ho dovuto indossare una felpa stasera” rispose Lara.

“Sei sicura di non avere la febbre? Ancora quattro giorni e saremo di nuovo insieme, salgo io questa volta?”.

“Sì vieni tu, meglio non lasciare la casa incustodita. Il rubinetto del lavello ha perso acqua nonostante fosse chiuso, non vorrei trovare la casa allagata al mio rientro”.

“Forse è stato un colpo d’ariete. A volte succede, tienilo sotto controllo”.

Un colpo d’ariete, già, non ci aveva pensato. Terminata la conversazione, decise di trascorrere la serata guardando “Weekend di terrore”, un vecchio film registrato su una videocassetta. Lara amava il noir e i thriller, erano il suo genere preferito anche di lettura.

Durante la visione del film, proprio nel bel mezzo della scena più coinvolgente che vede i protagonisti terrorizzati alla ricerca della salvezza da quella casa infernale sul lago, lo schermo della televisione iniziò a trasmettere immagini disturbate e ad emettere un suono distorto.

“Ma proprio adesso, sul più bello!” esclamò Lara infastidita. “Si è smagnetizzata pure la videocassetta? Ma tutte oggi?!”.

Lo schermo non voleva saperne di riprendere a trasmettere il film dal punto in cui si era interrotto. A poco a poco Lara vide quelle immagini trasformarsi in linee e sfumature che gradualmente assumevano i contorni di un qualcosa di più definito, sembrava un volto o l’ombra di un volto ma ancora prima di poter appurare effettivamente di cosa si trattasse, l’immagine sparì. La proiezione si bloccò e il videoregistratore sputò fuori la videocassetta.

“Lasciamo perdere, me ne vado a dormire e non ci penso più. Giornata decisamente da bocciare”.

Senza neanche rendersene conto, ritirò fuori il piumone dall’arma-dio perché il freddo era diventato insopportabile tanto da farla tremare.

Si addormentò chiedendosi se veramente non avesse ragione Marco, forse aveva davvero la febbre.

 

 

Martedì mattina.

L’usuale musichetta della radiosveglia destò Lara alle sette interrompendo il suo sonno durante l’ultima fase REM della notte.

Non appena aprì gli occhi, le fu chiara per alcuni secondi la scena che stava vivendo durante il sogno: paralizzata dalla paura, incapace di muoversi e scappare, atterrita di fronte ad un’ombra minacciosa che la circondava e la sovrastava. Per un attimo le parve di riconoscere l’immagine proiettata la sera prima dal videoregistratore. Ma come spesso accade, i vaghi ricordi dei sogni al risveglio svaniscono rapidamente nel nulla. La mente di Lara cancellò all’istante la memoria di quel sogno ma anche questa volta non annullò completamente la sensazione di disagio e disorientamento vissuta.

“Brrrr, ma fa ancora così freddo?” Si preparò per uscire scegliendo abiti invernali e varcò l’uscio di casa. Notò con sollievo che sulle scale non vi era alcuna traccia del sottovaso e dello scarafaggio.

Non appena arrivò in ufficio, il collega le corse incontro per consegnarle il nuovo cartellino. “L’ho già collaudato, funziona, puoi utilizzarlo già da ora. Ma come sei vestita?”.

Ignorando la domanda, Lara si affrettò a raggiungere la sua postazione e nonostante Marisa fosse già operativa e concentrata sul lavoro, non poté fare a meno di nascondere la sua espressione sbigottita.

“Come sei vestita Lara? Fa un caldo torrido fuori e tu indossi il maglione? Sei sicura di non avere la febbre? Non hai un aspetto sano!”

Ma Lara non aveva voglia di dare spiegazioni. Si limitò a raccontare velocemente l’episodio del rubinetto e quello dell’aria gelida che aveva raffreddato il suo appartamento.

“Lara, c’è qualcosa che non mi convince, quando torna Marco?”.

“Venerdì”.

Lara e Marco erano coetanei e quell’anno stavano vivendo la loro trentesima stagione di vita.

“Quanto pensi di andare ancora avanti così, una relazione a seicento chilometri di distanza… non potrà durare a lungo” la incalzò Marisa.

“Forse andiamo così d’accordo proprio per questo” ribatté sicura Lara.

Era sinceramente innamorata di Marco ma non era ancora certa di

volere rinunciare alla propria indipendenza.

“OK, comunque in questi giorni tu non stai bene e non puoi rimanere da sola, vuoi venire da me fino a venerdì?”

“Ti ringrazio ma preferisco stare a casa, devo controllare il rubinetto”.

“Va bene ma promettimi che mi chiamerai in caso di bisogno, in qualunque momento, ok?”.

“Ok” rispose Lara e iniziò la sua giornata lavorativa.

 

 

Rincasò il tardo pomeriggio e una volta a casa, constatò che la temperatura all’interno era tornata ai livelli normali della stagione e non trovò i temuti allagamenti, il rubinetto era chiuso e non perdeva acqua.

“Ok, tutto rientrato, meno male”.

Si spogliò immediatamente degli abiti invernali e si recò nel salotto per completare la catalogazione delle diapositive.

Quello che vide la fece sobbalzare: l’ordine che aveva creato la sera prima era stato completamente sovvertito, le diapositive erano tutte mescolate e ammucchiate senza criterio, rimosse dai loro contenitori e gettate alla rinfusa sopra il tavolo.

Superata la prima reazione di stupore e nel tentativo di trovare a tutti i costi una spiegazione, Lara ricavò che fosse stata lei stessa a compiere quell’azione.

Da piccola aveva avuto degli episodi di sonnambulismo e probabilmente quella notte ne aveva sofferto ancora. Decise comunque di chiamare Marisa per raccontarle l’accaduto.

“Ma come fai a rimanere in quella casa da sola?” le disse l’amica “Possibile che non ti rendi conto che quanto sta accadendo non è normale? Ti rinnovo l’invito: molla tutto e vieni qui”.

Ma Lara non ne volle sapere e con pazienza si apprestò a sistemare nuovamente le diapositive.

Arrivò l’ora di cena e dopo avere preparato un piatto veloce a base di pomodoro e mozzarella, si sedette al tavolo del soggiorno per gustarlo.

Guardò la sedia accanto a lei. Che strano, era girata al contrario, la spalliera contro il tavolo e la seduta verso il muro.

“Altra azione compiuta da me stanotte, ma quanto mi sono divertita?”.

Iniziò a consumare silenziosamente il suo pasto. Improvvisamente si fermò e si alzò con uno scatto dalla sedia. Chi le aveva toccato la spalla? Rimase immobile, il respiro bloccato, gli occhi sbarrati per qualche minuto, in attesa.

“Ragiona Lara, ci sono solo io in questa casa, non farti suggestionare dalle strane idee di Marisa”.

Attese ancora qualche secondo e prima di sedersi nuovamente a tavola, accese la televisione per rompere quel silenzio che era diventato insostenibile.

Il cronista del telegiornale iniziò ad elencare gli avvenimenti della giornata: vicende politiche, fatti di cronaca, eventi nazionali ed internazionali.

Subito dopo, iniziò un programma di medicina e il primo specialista ad intervenire fu uno psicologo esperto in materia di sogni.

“Durante la notte si verificano diversi cicli del sonno caratterizzati dal passaggio attraverso vari stadi: l’addormentamento, il sonno leggero e il sonno profondo, il sonno molto profondo e la fase REM, della durata di 15 minuti, che si ripete ogni circa due ore” esordì lo specialista.

L’argomento attirò l’attenzione di Lara che fino a quel momento aveva guardato il televisore senza ascoltare.

“Durante le fasi REM ossia Rapid Eye Movement si verificano sogni vividi e vi è un’intensa attività cerebrale simile ad uno stato di veglia. Gli occhi si muovono rapidamente sotto le palpebre ma per contro si paralizzano i muscoli delle braccia e delle gambe. Questo fenomeno non è ancora stato compreso ma secondo le ultime ricerche si potrebbe trattare di una risposta protettiva dell’organismo al fine di impedire movimenti avventati e imprevedibili eventualmente generati dal sogno”.

“Interessante” rifletté Lara, “forse questo spiega perché durante i sogni non si riesce mai a scappare di fronte alle situazioni di pericolo”.

“…i sogni lucidi si verificano quando una persona è consapevole di sognare…”

Il telefono squillò.

“Ciao Marco”.

“Ciao Lara”.

Trascorsero al telefono una piacevole mezz’ora parlando del più e del meno. Lara evitò di raccontargli gli strani fatti di quel giorno.

Ritornò in salotto convinta di poter riprendere la visione del programma. Ma il canale di trasmissione non era più quello di prima, con sorpresa Lara vide che era sintonizzato su una frequenza composta da coppie di numeri che cambiavano in continuazione senza un criterio decifrabile.

Alla fine il canale si bloccò sul numero 30 e per un attimo apparve sullo schermo un’immagine sfuocata. Le parve di riconoscere la figura già intravista nel sogno della notte prima e quella proiettata dal videoregistratore. Questa volta però l’ombra non aveva assunto i lineamenti di un volto ma piuttosto i contorni di una sagoma di un corpo schiacciato.

Lara spense immediatamente il televisore e guardò l’orologio: quasi le ventidue, ormai si era fatto buio. Aveva fretta di chiudere la giornata ma senza sonno sarebbe stato impossibile dormire e l’idea di rimanere a lungo sveglia nel letto non le piaceva. Non aveva neanche voglia di leggere.

Decise di uscire a fare una passeggiata lungo i viottoli del parco che costeggiavano il canale del Naviglio della Martesana sul quale si affacciava il palazzo nel quale abitava.

Avvertì l’aria calda della sera come una carezza sulla pelle e apprezzò lo scorrere lento dell’acqua lungo il canale. In lontananza poteva vedere alcune persone che passeggiavano insieme ai loro cani e qualche sportivo ancora impegnato a correre lungo i viali del parco.

“Proprio quello che mi serviva, un po’ di relax” pensò.

Rincasò rincuorata e si mise a dormire.

 

Mercoledì.

“Non è possibile! Ma pure questo?” Il dispositivo per la rilevazione delle presenze si rifiutava di riconoscere il nuovo tesserino di Lara.

“Eppure ieri funzionava! Deve essere una partita difettosa, lo segnalerò”.

Si sedette alla sua scrivania, di fronte a Marisa che levandosi gli occhiali la squadrò dalla testa ai piedi.

“Perché non ti trucchi più e ti vesti senza cura? Non ti riconosco più!”.

“Hai ragione, mi sto trascurando in questi giorni, non so neanche io perché”.

“Ti sei forse dimenticata che oggi abbiamo la solita riunione mensile con i responsabili? Non ti puoi presentare così”.

Lara a questo punto si guardò: indossava un vecchio paio di scarpe da ginnastica, una tuta di colore blu sbiadito dal tempo e una maglietta bianca di cotone senza pretese. Si era completamente dimenticata della riunione.

“Accidenti, è vero, è mercoledì”. Guardò l’orologio, ormai non avrebbe fatto più in tempo a tornare a casa a cambiarsi.

Doveva scegliere se presentarsi così alla riunione oppure inventarsi un pretesto per disertarla.

Decise per la seconda opzione, quindi si recò immediatamente al Presidio Medico Aziendale dove trovò operativo un giovane medico alle prime armi.

“Ciao, non ti ho mai visto qui, cosa ti succede” le chiese.

“Buongiorno Dottore, ho un terribile mal di testa che mi impedisce di lavorare, vorrei se possibile tornare a casa e riposarmi”.

Il medico la guardò con attenzione, notò lo strano pallore del viso e le occhiaie scure molto evidenti. Le misurò la temperatura, la saturazione e la pressione sanguigna.

“In effetti non sei in buona forma. Se non ti vedessi qui con i miei occhi, dai tuoi parametri direi che sei sul punto di morire, ah ah ah!” il medico scoppiò in una fragorosa risata.

“Ma cosa significa?” chiese Lara.

“Scusami, è solo per sdrammatizzare! Però davvero hai dei parametri preoccupanti, ti prescrivo subito degli esami di controllo e ti autorizzo a tornare subito a casa”.

 

Lara balzò in sella alla bicicletta e con gran fatica pedalò fino a casa.

Con doppia fatica salì i quattro piani di scale. Era esausta, senza fiato.

Si buttò sul letto e si addormentò all’istante.

Era ormai l’ora di cena quando si svegliò. Riuscì ad alzarsi dal letto.

“Ho bisogno di mangiare qualcosa, sono a stomaco vuoto da stamattina”.

Si preparò un piatto di pasta in bianco condita con olio e parmigiano.

Seduta al tavolo del soggiorno, si accingeva a consumare il suo pasto quando notò una strana macchia biancastra sul pavimento. Alla vista pareva una sostanza viscida e gelatinosa. Alzò lo sguardo al soffitto. In corrispondenza della macchia vide un’area umida, lattiginosa, con presenza di crepe e distacchi dell’intonaco, simile a ciò che si verifica in caso di infiltrazioni d’acqua dal piano superiore. Goccia dopo goccia, la sostanza gelatinosa seguitava a cadere allargando sempre più la macchia sul pavimento.

Decise di salire al quinto piano per allertare subito i vicini ma sfortunatamente in casa non c’era nessuno.

“Domani chiamerò l’amministratore, forse i nuovi inquilini hanno fatto delle modifiche all’impianto originale”. Per quanto ne sapesse, l’area dei soggiorni non era attraversata da tubazioni.

Tamponò e delimitò lo spazio dove si era formata la macchia con degli asciugamani e senza attendere la consueta chiamata delle ore ventuno prese lei l’iniziativa e chiamò Marco.

Digitò il numero sulla tastiera e attese lo squillo dall’altra parte. Riprovò più volte, ma al posto del solito rassicurante “tuu tuu” poteva solo udire il breve e ravvicinato segnale di occupato. Provò allora a comporre il numero di Marisa ma con lo stesso risultato.

“Perfetto, mancava giusto il guasto alla linea telefonica! Marco capirà”.

Fuori il sole non era tramontato del tutto e il cielo era ancora chiaro ma Lara si sentiva stanca e debole, aveva ancora l’affanno per avere salito solo un piano di scale.

Senza badare ai vestiti che ancora indossava dalla mattina, si infilò così com’era sotto le lenzuola e presto approdò nel mondo dei sogni.

 

 

La grande ombra scura la stava aspettando. Lara si accorse subito della sua presenza. Provò prima a nascondersi ma era inutile, nessun rifugio poteva sottrarla alla sua vista. Cercò quindi di scappare, di correre via ma le sue gambe erano bloccate, impossibile muoverle. Lara si lasciò quindi invadere dall’ombra accettando il suo destino.

 

 

Giovedì, ore sette, Larà si svegliò.

“Mi sento meglio, ieri alla fine ho dormito tutto il giorno e tutta la notte. Vado in ufficio.”

Colazione, doccia, abiti puliti, trucco e piega ben fatta ai capelli. “Sarà contenta Marisa” pensò.

Prima di uscire, controllò in salotto lo stato della perdita. Nessuna traccia della macchia sul pavimento, né dell’area umida sul soffitto.

“Bene, si è asciugato tutto durante la notte”.

Pedalò con energia e raggiunse l’ufficio. Ignorò il dispositivo per la rilevazione delle presenze e si sedette alla sua scrivania.

“Finalmente” esclamò Marisa “ora ti riconosco! Stai meglio?”.

“Sì, sto meglio”.

“Ieri sera ho provato più volte a chiamarti, avevi il telefono staccato?”.

“No, ho pensato ad un guasto alla linea telefonica, anche io non riuscivo a chiamare nessuno”.

“Ti assicuro che non c’è stato alcun guasto, abitiamo nella stessa zona, e poi il suono era quello tipico di un telefono staccato”.

“Non cominciare Marisa”.

“Sono successe altre cose strane nella tua casa dopo l’episodio delle diapositive?”.

“Sì, ma tutte assolutamente spiegabili”.

Lara raccontò a Marisa tutti gli strani eventi che si erano verificati trovando però una spiegazione per ciascuno di essi.

“Ectoplasma” Marisa pronunciò quella parola quando Lara le raccontò della macchia biancastra e gelatinosa.

“In quella casa c’è una presenza che sta facendo di tutto per attirare la tua attenzione” proseguì.

“Non diciamo cavolate ma poi, anche se fosse come dici tu, non sarebbe una presenza maligna altrimenti mi avrebbe già fatto del male!” esclamò Lara quasi divertita.

“Lara, ti consiglio di smettere di ignorarla perché potrebbe indispettirsi e giocarti dei brutti scherzi”.

“Ma stai parlando sul serio Marisa? Ti prego!”.

“Ricordati: esiste anche ciò che non si vede” sentenziò severa Marisa.

La conversazione infastidì Lara a tal punto che per il resto della giornata non le rivolse più la parola.

 

 

La sera rientrò a casa turbata. In effetti erano successe tanti fatti insoliti durante la settimana. Doveva dare retta a Marisa? Ma no. Domani poi è venerdì e sarò con Marco per tutto il fine settimana, pensò. E si rassicurò.

Aveva fame. Prese dal freezer una pizza congelata e la preparò al forno. “Mi dedicherò alla cucina durante il week-end, insieme a Marco”.

Controllò il telefono: il guasto non era ancora stato riparato. Per fortuna era riuscita a parlare con Marco chiamandolo dall’ufficio. Sarebbe arrivato l’indomani con il solito treno alla solita ora.

La serata si preannunciava tranquilla, il sole lentamente degradava all’orizzonte colorando il cielo di tonalità intense. Tra poco sarebbe arrivato il buio, era ora di accendere la luce.

Premette l’interruttore nel salotto ma la luce non si accese.

“Lampadina fulminata, pazienza, tanto la televisione si vede meglio al buio”.

Passò nel corridoio e andò in cucina premendo tutti gli interruttori ma nessuno di essi attivò l’illuminazione. Andò in bagno e poi in camera ma niente, la luce non si accendeva.

“Ma guarda te, oltre al telefono ora anche questo, ma volete almeno avvisare?”. Uscì sul balcone per avere conferma del black-out ma con sorpresa notò invece che tutti gli altri appartamenti e il resto del quartiere non erano al buio.

“Non mi piace, è solo a casa mia” e in quel momento pensò a Marisa, forse avrebbe dovuto ascoltarla.

Rientrò in casa con l’intenzione di accendere delle candele, ne teneva sempre qualcuna per le emergenze. Si bloccò, di nuovo quella strana sensazione, questa volta la poteva percepire con più intensità. Non era sola in casa.

“Chi c’è?”.

Nel silenzio l’unica risposta fu il rantolo di un respiro ansimante, vicinissimo a lei.

Si precipitò verso il cassetto dove teneva le candele, inseguita da una gelida corrente di aria fredda e dall’inquietante rantolo.

Con le mani tremolanti, dopo vari tentativi riuscì ad accenderne una, si voltò e la vide.

Non poté fare a meno di urlare, lasciò cadere la candela e iniziò la sua corsa disperata verso l’uscio di casa.

In quel momento il telefono squillò.

“Marco sei… sei tu?”.

Il terrore le impediva di parlare ma riuscì a formulare la domanda.

Dall’altra parte del ricevitore, una voce lontana, lamentosa, forse di donna ma con timbro e risonanze anche maschili. La voce era lagnante, sofferente ma inquietante e a tratti minacciosa.

“Pronto, pronto!” Lara esitò per qualche secondo chiedendosi se fosse una richiesta di aiuto.

La voce si amplificò e in un baleno riecheggiò assordante in tutti i locali dell’appartamento.

In preda al panico e al terrore Lara si fiondò verso la porta, l’aprì non curandosi di richiuderla e iniziò a scendere di corsa le scale al buio, saltando più gradini alla volta e urlando dalla paura. Percorse le prime rampe con il cuore che batteva all’impazzata, contando i piani che la separavano dal portone principale del palazzo. Poteva sentire dietro di lei il rantolo della creatura mostruosa e la voce rimbombare lungo la tromba delle scale. Ancora un piano, sono salva, pensò, intravedendo le luci dei lampioni accesi fuori sulla strada.

Nella penombra, non lo vide. Lara scivolò sopra il piccolo sottovaso capovolto adagiato su un gradino.

Cadde e batté rovinosamente la testa sullo spigolo di marmo dell’ultimo scalino. Qualcuno accese la luce nelle scale.

L’ultima cosa che videro i suoi occhi fu l’ombra del grande scarafaggio nero proiettata sulla parete.

 

 

Venerdì, ore 5,35.

Lara era stesa su un lettino avvolta da un lenzuolo bianco.

Aveva gli occhi chiusi ma poteva vedere intorno a lei Marco,  i  suoi

genitori, i suoi fratelli e Marisa. Piangevano e si abbracciavano consolandosi a vicenda.

“Ma cosa fate? Ehi sono qui!”.

Si accorse che non riusciva a muoversi.

“Ci risiamo, maledetto sogno, maledetta fase REM! Stai sognando Lara, è chiaro, devi solo aspettare di svegliarti”.

L’ombra non tardò ad arrivare. Invase la stanza sottraendo a Lara la vista dei parenti.

“Ecco mancavi solo tu, ma tanto non mi freghi, è solo un sogno, sono dentro un maledetto sogno lucido!”.

Si fece buio nella stanza, l’ombra era dappertutto e il suo respiro rantoloso consumava l’ossigeno.

“Mi vuoi prendere? Dai, fatti avanti, tanto tra poco mi sveglierò, TU NON ESISTI!”.

La grande ombra si avvicinò, si posò sul suo corpo e Lara si lasciò trasportare, senza opporre resistenza, nel mondo delle tenebre.

bottom of page